Il pizzo Timun (o Emet) - 3209 mt.
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info salita
Il pizzo Timun (o Emet) è una montagna delle Alpi Retiche Occidentali; è la seconda per altitudine della Valchiavenna (sovrastata solo dal pizzo Tambò). Situato sul confine Italo/Svizzero nella valle di S. Giacomo, meglio conosciuta come valle Spluga, lungo la direttrice di collegamento lago di Como lago di Costanza che offre un collegamento più o meno difficoltoso tra la pianura Padana e quella Bavarese.
Anche per questa escursione (come per il monte Emilius) preferisco pernottare in rifugio, per cui parto un venerdi pomeriggio da Monza per Montespluga. Si parcheggia la macchina a circa metà lago, dove c'è una evidente palina indicatrice del rifugio Bertacchi. Si sale lungo una strada sterrata in lieve pendenza (strada di servizio per una cava); dei segnali indicano la deviazione a destra sul sentiero, prevalentemente pianeggiante (un punto leggermente esposto è stato attrezzato con catena), verso il rifugio, ormai sempre visibile. Il rifugio Bertacchi è posto poco sopra il lago di Emet; è gestito con cordialità, è pulito e si può godere di una buona cucina tipica della Valchiavenna; di rilievo il fatto che la corrente è generata da un impianto eolico in sostituzione dell'inquinante generatore a gasolio.
Il giorno successivo, dopo una abbondante colazione, parto dal rifugio verso la meta; il sentiero in lieve salita costeggia il lago, alto sopra di esso. In mezz'ora guadagno il passo di Niemet (2296 mt), lasciando, subito prima del passo, la deviazione per lo Spadolazzo. Una breve sosta è d'obbligo, scatto qualche foto, e poi prendo a destra il sentiero che sale ripido su un costone erboso (indicazione per il passo di Sterla); guadagnando quota, il panorama offre quì un orizzonte più ampio rispetto a quella godibile dal rifugio, verso le cime sull'altro versante della valle Spluga. Si raggiunge una spalla erbosa da dove si scende leggermente, e poi si prosegue nel vallone detritico, con sentiero non agevole, ma ancora ben segnalato con bolli (rossi e bianchi) ed ometti di pietra. Arrivato nella conca terminale del vallone il sentiero scompare e con lui i segnali, ma è sufficente puntare dritto davanti a me verso la cresta che scende dalla cima; risalgo con fatica gli sfasciumi della dorsale morenica; ogni passo costa, il terreno è instabile e lo scarpone scivola continuamente all'indietro sotto il mio peso. Raggiunto il crinale, a circa 2900 mt, seguo la cresta deviando a sinistra; quì ritrovo le segnalazioni, il percorso si snoda a volte a sinistra a volte a destra del crinale, ci sono roccette ed più in alto qualche passaggio, non difficile, ma che richiede attenzione. Immediatamente sotto la cima il punto più difficile, una affilata cresta rocciosa con strapiompo da ambo i lati, un sasso di un metro di larghezza separato da un intaglio da un altro sassone identico posto in posizione più elevata. Non è possibile aggirarli, comunque con grande attenzione supero l'intaglio, facilitato dagli appigli presenti sul muretto davanti a me e guadagno la parte superiore del secondo macigno, ancora un breve percorso su cresta strapiombante e poi tutto diventa più facile sino in cima.
Ci arrivo con mezz'ora di ritardo sui tempi preventivati 4 ore e mezza al posto di quattro; ma non importa ora sono in vetta, e solo posso gustare tutto il meraviglioso panorama che mi circonda. E' molto simile a quello visibile dal pizzo Tambo che ho scalato lo scorso anno (anche se un poco più ristretto). La sola differenza è la prospettiva verso le montagne vicine, il pizzo Ferrè è meno in evidenza, mentre vicino e ben visibile il pizzo Stella con il Ghiacciaio sulla sua parete nord-est; ben visibili anche il versante nord (con i ghiacciai) delle granitiche pareti della val Masino, ed infine, più lontano, il Bernina anch'esso con le sue cascate di ghiaccio. La giornata, abbastanza limpida, permette di vedere le vette del monte Rosa con la poderosa parete sud-est e i rilievi dell'Oberland Bernese, ancora più lontano. Attorno a me il silenzio più assoluto, anche il vento presente alla partenza è quasi scemato del tutto, e solo il sole che splende in cielo mi tiene compagnia.
Dopo un'ora inizio la discesa, che alla fine risulterà una peripezia. Arrivato al passaggio dei macigni con intaglio decido di saltare da quello superiore a quello inferiore, nulla di proibitivo, è sufficente rimanere calmi e mantenere l'equilibrio. Proseguo nella discesa della cresta sino a quando le segnalazioni mi riportano nel vallone detritico. Dopo un poco che scendo vedo una costruzione in pietra, non l'avevo notata in salita, possibile? Non so, continuo a scendere in mezzo agli sfasciumi, metto un piede su una pietra instabile che mi sbilancia in avanti e atterro dopo un breve volo sulla superfice superiore di un grosso masso, che anche se ben levigata, mi provoca delle escoriazioni. Sono stato fortunato, perchè essendo solo se avessi avuto danni più seri sarebbe stato un grosso problema (per fortuna in genere, ma non so in quel punto, c'è copertura cellulare). Alla fine raggiungo dei pratoni misti a pietrai e continuo a scendere; inizio però ad allarmarmi, il paesaggio che si schiude davanti a me è molto diverso da quello della salita, comincio a temere che per qualche motivo, che al momento non mi è chiaro, sia su un percorso sbagliato. Inoltre davanti, verso ovest, a me il Pizzo Ferret mi sembra molto più a destra rispetto a come era situato quando salivo verso il passo di Niemet. Continuo a scendere, un po' a zig zag nel vallone, ed arrivo ad un pilpito dal quale vedo la valle sottostante: sotto di me a sinistra c'è Madesimo. Ora ho la certezza del mio errore. Consulto la cartina (cosa che avrei dovuto fare molto tempo prima, sulla cresta), mi rendo conto di essere nella valle di Sterla; quando sono sceso ed ero in cresta l'ho abbandonata troppo tardi. Decido di fare un tentativo di valicare il costone roccioso che mi separa dal vallone dove è posto il rifugio, ma poi mi rendo conto che mi è impossibile, sono stanco, il dislivello da superare non è poco e sopratutto non so che mi aspetta sull'altro versante. Torno sui miei passi e rintraccio il sentiero che presumibilmente scende a valle, lo seguo vicino ad un ruscello sino a perderlo; è qui commetto un grave errore, non torno indietro per ritrovarlo, ma nella mia smania di discesa continuo sui prati sino ad un salto quasi verticale di una trentina di metri. Il riscello accanto a me precipita con una fragorosa cascata. Alla sua sinistra delle roccette con della vegetazione: decido di scendere da li, e fortunosamente ci riesco aggrappandomi alla roccia ed alle radici. Proseguo, altri pratoni ed altre balze, fino ad affaccirmi ad un ultima dove scorgo un muretto, mi rincuoro pensando che se è stato costruito un manufatto ci sarà un sentiero, ora forse sono uscito dai guai. Invece no il muretto è la parte sommitale di un arco, forse acquedotto: ma nessun sentiero; davanti a me ed alla mia sinistra la montagna precipita quasi verticalmente sul fondo valle, mentre alla mia destra sono visibili due piccole costruzioni che non riesco ad identificare (malghe o che???). Non ho alternative, mi dirigo da quella parte, anche perchè il tempo scorre ed il buio si avvicina. Scendo su un prato, entro in un bosco con un fittissimo sottobosco che mi impedisce di procedere agevolmente, ma continuo sino ad arrivare ad un ruscello, guadarlo sui sassi melmosi è impossibile, per cui lo attraverso senza preoccuparmi di allagare gli scarponi. Altro ruscello più avanti, e poi, alla fine esco dal bosco vicino alle due costruzioni, ma anche qui un prato in salita pieno di pianticine di rododendri mi ostacole nel cammino. Mi accorgo che non sono malghe, bensì due costruzioni dell'acquedotto, l'acqua scorre al loro interno, ma ciò che conta è aver visto i bolli bianchi e rossi che segnalano il sentiero. Mi fermo per recuperare le forze e tirare un sospiro di sollievo, la valle è ancora molto in basso, ma sono ormai sulla strada giusta ed ho ancora luce. I problemi gravi sono alle spalle e posso scendere tranquillo sino a Macolini. Ora non c'è più pericolo, ma non tutti i problemi sono risolti, la macchia è a Montespluga. Mi incammino verso Madesimo, e sulla strada (dopo tanta sfiga, un colpo di fortuna), alla terza macchia a cui chiedo un passaggio si ferma una signora svizzera che rientra a Splughen.....
Infine per concludere la relazione voglio segnalare, con gratitudine, l'assistenza continua avuta dal rifugista del Bertacchi, a cui mi ero telefonicamente rivolto quando avevo avuto la certezza del mio errore.