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Talita Kum (Guerino Rossi), al Pizzo Strinato

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Escursione di due giorni (preferisco fare con calma dato il notevole dislivello) per salire la cima del pizzo Strinato tramite la ferrata presente sul versante nord: la Talita Kum, ora intitolata a Guerino Rossi, escursionista morto durante una salita solitaria al pizzo Coca.
Parto in tarda mattinata da Monza con meta Valbondione (ma poi mi dirigo e lascio la macchina a Lizzola); a Valbondione in agosto a metà giornata è praticamente impossibile parcheggiare. La partenza da Lizzola  ha un vantaggio: minor dislivello, ed un svantaggio: percorso più lungo e disagevole.

1°giorno: nei pressi della chiesa inizia il sentiero 306 che con una lunghezza di 6,2 km porta al rifugio Curò. Si sale inizialmente per prati , arrivati ad una casa di legno il sentiero si divide: si deve seguire la biforcazione a destra che sale nel bosco; da questo momento e per almeno metà percorso la fitta vegetazione del bosco mi ripara dal sole, e mi permette di percorrere il sentiero in relax ed al fresco . Questa parte del tracciato è priva di difficoltà ed assolutamente non faticosa, il sentiero alterna brevi tratti in piano a tratti in salita; a volte la vegetazione si apre e lascia intravedere scorci di alte vette . Al termine del bosco il tracciato si fa più impegnativo ed esposto (ma mai nulla di difficile), solo qualche saliscendi mi infastidisce un poco; sopra di me alte cime , ai lati del sentiero è possibile vedere magnifiche inflorescenze . Dopo una breve ma ripida salita a zig zag il sentiero confluisce con il n° 304, che colega il rif. Curò con il rif. Albani: il sentiero delle Orobie. Anche questo tratto di sentiero è un poco esposto in alcuni punti , ed inoltre mi obbliga immediatamente ad una lunga discesa con relativa salita, in lontananza si incomincia ad intravedere il rifugio Curò , sui pendii sottostanti delle baite . In breve si confluisce con la mulattiera che sale da Valbondione, si continua a procedere verso nord  e dopo aver percorso un tratto "aereo" scavato nella roccia del M.te Verme  si è al Rifugio Curò (1895 mt) . Senza fermarmi proseguo oltre   e giungo in vista del grosso lago artificiale situato ad una altezza di 1862 mt , esso raccoglie le acque che scendono dalle valli che confluiscono nella splendida conca del Barbellino, quelle di fusione del ghiacciaio del Gleno e le acque della sorgente del Serio. Si segue un ampio sentiero in leggera salita, che costeggio il lato sud del lago. Alcuni facili guadi dei torrenti che lo alimentano , alla fine del bacino le acque del Serio confluiscono nel lago . Un ultimo sguardo al lago  e poi il sentiero piega bruscamente verso nord-est e si infila in una gola , e si giunge in breve tempo al rifugio . Ancora pochi passi e raggiungo il bellissimo lago naturale del Barbellino   , sopra di esso l'elegante piramide del pizzo Strinato, la mia meta  .

2°giorno: sveglia ad un orario decente, colazione ed alle 7,45 lascio il rifugio e mi incammino verso l'attacco della ferrata che è circa 300 mt più sopra. La rifugista mi ha indicato un minuscolo bollino chiaro (la targa di inizio ferrata) vicino a due minuscole macchie di neve; intuisco allora il tracciato sul quale è stata sviluppata: dapprima al centro della parete Nord per poi portarsi allo spigolo Nord-Est e da qui raggiungere la cima. Non c'è un vero e proprio sentiero, ma salgo zizzagando sulla morena, inizialmente con pendenze lievi, ma poi si procede faticosamente perchè il terreno si fa ripido ed insidioso. Dopo poco più di un'ora giungo all'attacco della ferrata. Solite operazioni di rito, indosso l'imbrago, il casco ed i guanti e poi inizio a salire. L'impressione è che il tratto iniziale sia più da sentiero attrezzato che da ferrata (per lo mmeno come io l'intendo); comunque mi assicuro sempre con i moschettoni alla catena che utilizzo anche per la progressione, le braccia aiutano le gambe. L'unica insidia è dovuta al terreno un poco instabile, le roccette iniziali lasciano il posto ad una risalita su ripido pendia erboso, sino ad arrivare ad un masso che sbarra la strada. La catena termina, e volgendo a destra lo sguardo la si vede ricominciare circa dieci metri distante.
Il traverso è semplice, ma attenzione lo si deve effettuare su terreno franoso. Ritrovata la catena proseguo in salita su roccette inclinate per nulla difficili, sino ad arrivare ad una parete che sembra impedire l'accesso allo spigolo situato alcune decine di metri più sopra. Inoltre una c'è una cengia sotto la paretina, ospita un minuscolo nevaio, sotto il quale scompare la catena; scarto l'idea di risalire il nevaio lungo l'evidente traccia di vecchi passaggi: la neve è ghiacciata ed i miei scarponi scivolano allegramente sulla superfice, per cui scelgo di traversare sotto il nevaio a destra per poi risalirne il bordo e con successivo traversa a sinistra riagganciarmi alla catena. Immediatamente mi accorgo che devo traversare su roccette levigate e bagnate, per l'acqua di scolo del nevaio, senza alcuna assicurazione, per me è questo il punto più pericoloso e difficile dell'itinerario! Alla fine riesco a riprendere la ferrata, ed affronto il dietro, segnalatro come difficoltà III+, tecnicamente è il punto più difficile della via, ma comunque non mi crea alcuna difficoltà ed in breve lo supero per poi continuare lungo la catena; inizialmente su una spalla rocciosa poi su sfasciumi erbosi e rocciosi, con sassi molto instabili (è assolutamente necessario porre attenzione a chi segue).
Poi la catena lascia il posto ad un canapone, è il segno che sono arrivato sullo stupendo spigolo nord-est, una affilata lama di roccia che mi porterà in cima. La salita prosegue, senza grandi difficoltà tecniche, ma su rocce estremamente esposte, a sinistra a destra e dietro il vuoto; il canapone mi da sicurezza e la sua presa è sicura, inoltre mi accorgo che è perfettamente ancorato alla roccia, solo in un punto rimango perplesso, esso sfrega su rocce taglienti ed è leggermente usurato, ma si capisce che per ora è solo un'usura superficiale. Si scala un primo torrione, al culmine del quale una piccola piattaforma invita ad una breve sosta; riprendo per la parte finale dello spigolo. In questo tratto la senzazione di vuoto aumenta, ma comunque arrivo al termine senza problemi. Il canapone finisce un poco sotto la cima dove è posta la croce (con il libro di vetta), il punto di massima elevazione è all'estremo opposto della cresta della vetta; io la percorro quasi tutta ma poi mi fermo senza arrivare all'ometto che segnala il punto più alto (in tal modo compio il grave errore di non accorgermi che la via di discesa è esattamente dala parte opposta a quella di arrivo della ferrata). Ritorno alla croce e scatto delle foto, il panorama è molto bello, oltre alle vicine cime delle Orobie, più lontano il pian di neve dell'Adamello, i ghiacciai del pizzo Bernina e del monte Digrazie, il granito della val Masino.
Cerco la via di discesa, ma non trovo nessuna indicazione, per cui mi avventuro in un canalone che scende ripido dalla cresta vicino alla croce; dopo aver percorso circa 150 mt di dislivello comincio ad accorgermi che non sono sulla giusta via, nessun segno (anche rado), ed in basso non c'è uscita da questo tetro imbuto, si vede molto più sotto gli sfasciumi di un vallone sottostante, ma ho l'impressione che il canalone termini nel vuoto. Allora decido di risalire, sia pur faticosamente riguadagno la vetta, e decido che per me il modo più sicuro per il rientro è ripercorrere a ritroso la via fatta in salita. Mi rimetto l'imbrago e ridiscendo, non incontro alcun problema, solo il passaggio sotto il nevaio mi sembra più difficoltoso che in salita, ma ormai sono stanco. Al termine della ferrata ridiscendo gli sfasciumi che mi portano sul lago del Barbellino e quindi al rifugio. Un veloce spuntino che la gentile signora mi prepara e poi riprendo (sebbene molto stanco e con le gambe indolenzite) la strada per il rifugio Curò e da li per Lizzola, sempre tenendo d'occhio l'orologio per il timore di essere sorpreso dal buio nel bosco e di perdere il sentiero). Alle 20,30 arrivo in paese.




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